In una recente intervista al settimanale Jeune Afrique, Chems-Eddine Mohamed Hafiz, rettore franco-algerino della Grande Moschea di Parigi, ha condannato senza tanti giri di parole l’islam «politico» nel suo insieme; nel marzo scorso ha ritirato l’istituzione da lui retta dal Cfcm, Consiglio francese della fede musulmana, ed ha pubblicato un Manifesto contro il terrorismo islamista. «L’applicazione dell’islamismo è il talebano – ha dichiarato, senza mezzi termini –. Pertanto, non ci può essere un islam moderato».
Dopodiché su questo concetto, molto chiaro, si possono formulare – ed infatti, si sono scatenate – le più varie ipotesi, ma il concetto resta. Ad esempio, secondo il politologo francese Olivier Roy, docente presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze, il terrorismo jihadista altro non sarebbe se non l’«islamizzazione del radicalismo»; di parere opposto il suo collega e connazionale Gilles Kepel, secondo cui esso sarebbe, invece, la radicalizzazione dell’islam, concetto sposato anche dal presidente Macron, mentre il ministro per l’Istruzione superiore e per la Ricerca, Frédérique Vidal, ha commissionato al Cnrs, il Centro nazionale della ricerca scientifica, un’indagine sull’«islamo-sinistra», che avrebbe invaso il mondo universitario ed imposto il suo dominio sulle scienze sociali: tutto questo ha spostato una discussione accademica in campo politico, senza però offrire ancora risposte reali all’affermazione, netta e circostanziata, di Chems-Eddine Hafiz. Affermazione, da cui dovrebbero discendere invece, a cascata, valutazioni politiche e, di conseguenza, scelte concrete.