Sei anni di pontificato furono sufficienti al domenicano san Pio V (1504–1572) per difendere la fede dalla Rivoluzione protestante e l’Europa intera dall’attacco, sferrato a Lepanto nel 1571, dai musulmani. Egli fu santo interiormente e nella vita pubblica, profondamente degno di ricoprire il seggio di san Pietro in un tempo in cui la Chiesa e l’Occidente erano in balia di violente tempeste, che squassarono le anime e la civiltà europea, la quale, lacerandosi, cessò di essere Res Publica Christiana.
Questa Christianitas, che dal Medioevo definiva l’essere “Europa”, in cui l’imperatore governava secondo un ordine di carattere divino, smise di esistere a causa di una “Riforma” scismatica, che portò molti Stati alla teocrazia: il sistema statale divenne indiscusso e supremo gestore di tutti e di tutto, comprese le questioni religiose. Il principio «Cuius regio, eius religio» («Di chi è il regno, sua sia la religione»), formulato per la prima volta in occasione della Pace di Augusta (1555), venne confermato con la Pace di Vestfalia (1648), conferendo agli Stati secolari la sovranità sulle religioni, respingendo qualsiasi autorità sovranazionale.
Finalmente, a colmare il vuoto saggistico contemporaneo sulla straordinaria figura di papa Ghislieri, ha provveduto lo storico Roberto de Mattei con il suo volume, corposo e rigoroso, ma di assai piacevole lettura, dal titolo Pio V. Storia di un papa santo, edito da Lindau (pp. 466, € 32,00). Si tratta di un lavoro certosino, sia per l’apporto di fonti bibliografiche, sia per gli approfonditi contenuti. Ma quest’opera storiografica ha anche il grande merito di avere un habitus cattolico. Infatti, laddove vi sono storici credenti, essi spesso e volentieri cercano di velare i propri connotati per soggezione nei confronti della storiografia anticlericale, comunista e laicista.
La pubblicistica massiva in genere denigra da tempo ciò che proviene dallo studio realistico di date e fatti incontrovertibili, fino a manipolare, strumentalizzare, deformare avvenimenti e protagonisti.
Ecco, invece, l’autore del libro dedicato a Pio V dichiarare apertamente la propria posizione, constatando con grande senso di obiettività che «la “neutralità” dello storico non esiste. Ciò che esiste è la verità storica che trascende le persone degli storici e deve essere ricercata con scrupolo e oggettività, senza mai manipolare i fatti o le fonti. Lo storico cattolico non ha paura della verità. In questo senso respingo la definizione per il mio libro di “opera apologetica”, se questo termine vuole significare una distorsione della realtà storica per interessi di parte. Accetto il termine, se invece vuole riferirsi alla mia posizione di cattolico militante, diversa da quella di larga parte degli storici cattolici o laici contemporanei. Lo storico dimostra la sua obiettività e la sua imparzialità non quando rinuncia ad esprimere le proprie idee, ma quando si rifiuta di deformare e di manipolare i fatti per giustificare una tesi preconcetta» (pp. 17-18).
San Pio V ha affrontato, con senso politico, diplomatico e soprannaturale, ciò che sempre è richiesto ad un Sommo Pontefice: governare la Chiesa secondo fede e ragione in un equilibrio, assai difficile e complesso, fra ciò che il mondo propone e impone e ciò che richiede al suo Vicario il Capo della Chiesa, Cristo Gesù. Ecco che san Pio V ha saputo, con coraggio e determinazione, affrontare i nemici della Cristianità, che cercavano di minare alla radice l’autorità papale, applicando gli indirizzi della Chiesa stabiliti nel Concilio di Trento, Concilio che diede frutti prodigiosi in qualità e in quantità, declinati in militanza, santità e corpi religiosi motivati e zelanti.
Egli strinse alleanze con i re cattolici e sostenne il lavoro dell’Inquisizione, che non fu certo quella macchina diabolica di cui va parlando la pubblicistica anticattolica; arginò anzi il dilagare del luteranesimo e del calvinismo non solo fuori della Chiesa, ma proprio al suo interno; monitorò con mirabile capacità l’ortodossia di sovrani, cardinali, ordini monastici, arrivando a scomunicare la regina d’Inghilterra Elisabetta I, sotto il cui regno si perpetrarono orribili e indicibili massacri di cattolici, che morirono fra crudeli tormenti in odium fidei.
Scrisse san Pio V il 26 febbraio 1570, in un Breve, carico di fede autentica, ai cattolici inglesi, che guidavano l’insorgenza nella loro insanguinata terra: «Siamo dolenti che sia riservato ai tempi del nostro pontificato di vedere il veleno di tante e così abominevoli eresie recare in così gran numero colpi mortali alla repubblica cristiana. Ma tuttavia ci ricordiamo dell’efficacia della preghiera di Colui che domandò per il beato Pietro, che la sua fede non venisse mai meno, e che diffondendo la sua Chiesa anche in mezzo alla tribolazione, la governa tanto più la vede adagiata e battuta dalle onde» (p. 213). Piuttosto che negare e abiurare la propria fede in Cristo per servire lo Stato tiranno, questo Buon Pastore in terra invitava il suo gregge a continuare a servire Cristo, essendo disposti anche alla morte per conquistare la beatitudine eterna.
La Storia ha molto da insegnare alla dilagante ignoranza attuale e le pagine di questo prezioso e considerevole libro aiuteranno non solo a comprendere il vero significato di essere cattolici, ma anche dell’esser pontefici.