«Per gli Europei la vera base dell’unità era il Cristianesimo, che si era trasformato in una ben organizzata burocrazia internazionale». A tal punto che «sarebbe più corretto parlare di Cristianità più che di Europa, dal momento che, all’epoca, quest’ultima aveva ben poco significato sociale o culturale».
Questa la tesi di fondo dell’ultimo saggio storico scritto da Rodney Stark. Nonostante i limiti di un’interpretazione puramente sociologica, il saggio in questione, tradotto e pubblicato a tambur battente dalla casa editrice Lindau, che si è distinta per aver diffuso il pensiero dello studioso americano, si caratterizza per ribadire la superiorità della cultura di stampo “europeo” – o meglio “cristiano” – in un’epoca che si caratterizza per i costanti “mea culpa” del Vecchio Continente, per un esasperato terzomondismo e per una cultura “neo-tribale” che rischia di minare le basi della società occidentale.
Perché – ribadisce l’autore – è grazie al Cristianesimo, alla filosofia ed al pensiero cristiani che l’Occidente è sempre stato all’avanguardia tecnologica e solo in Occidente sono nate e si sono sviluppate la scienza e le arti, dalla pittura alla grande musica, nonché le istituzioni come le università e gli ospedali, per non parlare di invenzioni come i camini, il sapone, gli occhiali, gli orologi meccanici, i telescopi, i microscopi…
Questo è il frutto della scienza moderna, che proviene dall’insistenza medievale sulla razionalità di Dio: «Solo gli occidentali hanno pensato che la scienza fosse possibile, che l’universo funzionasse secondo regole razionali che potevano essere scoperte», scrive Stark. Gli occidentali pensavano questo, perché credevano ad un Creatore esterno al mondo fisico, che li lasciava liberi di studiare la Sua Creazione.
Rodney Stark preferisce il Medioevo al mondo romano (secondo lo studioso, l’uso degli schiavi impedì un incremento tecnologico) e al mondo moderno. Nel Trecento, dopo la Peste Nera, «la scarsità di manodopera stimolò le invenzioni e lo sviluppo di tecnologie, che consentissero di risparmiare forza lavoro». Quindi l’Europa medievale «vide l’ascesa del sistema bancario, di un’elaborata rete manifatturiera, di rapide innovazioni in campo tecnologico e finanziario, nonché una dinamica rete di città commerciali». L’Europa si trovò più avanti del resto del mondo in fatto di tecnologia, «alla fine del XVI secolo quel divario era ormai diventato un abisso».
Nel XVII secolo, infine, non c’è stata nessuna “rivoluzione scientifica”: i brillanti successi di quell’epoca «sono stati semplicemente il culmine di un normale progresso scientifico, iniziato nel XII secolo con la fondazione delle università». Tutto ciò perché l’Occidente cristiano credeva nella bontà dell’esistenza e nel libero arbitrio: «mentre la maggior parte delle antiche società (se non tutte) credevano nel fato, gli occidentali giunsero alla convinzione che gli esseri umani sono relativamente liberi di seguire quello che detta la propria coscienza e che, essenzialmente, sono artefici del proprio destino». Ecco perché lo studioso definisce «un’illusione» la credenza che, in epoca medievale, la cultura islamica fosse molto più avanzata di quella europea.