Come metodo di cura è ampiamente squalificato all’interno della comunità scientifica, ma tra la gente comune è considerato il principale mezzo di cura delle problematiche legate alla psiche. Ciò in gran parte grazie al cinema, in cui la figura dell’analista è considerata quasi sempre come quella di un aiuto indispensabile per superare le ansie, per risolvere i contrasti con il coniuge o con i colleghi, per lenire le tensioni all’interno della famiglia… In una parola, lo psicanalista ha sostituito il confessore o la guida spirituale: è più “religiosamente corretto”, elegantemente laico e – da ultimo ma non per ultimo – abbastanza esclusivo da divenire quasi uno status symbol.

Infatti una terapia psicanalitica è molto lunga e ancor più costosa; affidarsi alla psicanalisi è quindi da privilegiati: volete mettere l’eleganza e la comodità del lettino rispetto alla “banale quotidianità” e alla durezza di un confessionale, peraltro alla portata di tutti? Anche ciò spiega il motivo del successo di una cura tanto dispendiosa quanto fallimentare (ma chi andrebbe a dire, dopo essersi fatto mangiare gran parte del conto in banca, che i risultati sono pari a zero?).

Don Ennio Innocenti ripropone, ampliandolo, il suo studio sulla psicanalisi, che risulta diviso in due parti: la prima dedicata a Freud, la seconda a Jung e alla sua scuola (quanti psicanalisti si trincerano dietro l’affermazione “sono junghiano, non freudiano” come se si trattasse di due visioni incompatibili e non di uno sviluppo della seconda dalla prima!). Anzi, Jung rischia di essere più pericoloso di Freud, perché «se l’ateismo, il materialismo e il pansessualismo freudiani sono ben poco mascherati, la cosiddetta “psicologia analitica” junghiana si presenta con maschere religiose, spiritualistiche e perfino misticheggianti. Nella trappola junghiana sono caduti sacerdoti domenicani e serviti, benedettini e gesuiti e perfino riveriti monsignori romani» (p. 203). E se le teorie di Freud erano venate di tendenze cabalistiche, quelle di Jung sono intrise di elementi gnostici: una conseguenza quasi logica, viste le sue frequentazioni (dai teosofi ai membri della Golden Dawn).

Alcuni saggi di altri studiosi arricchiscono questa nuova edizione: tra di essi quello di Rutilio Sermonti dedicato a uno dei maestri di Jung, il poco noto Ernst Haeckel, considerato l’“inventore” del pitecantropo, uno studioso che più di Darwin sostenne l’esistenza di un “anello mancante” tra l’uomo e la scimmia, un essere dalle limitate capacità di parola e di pensiero. Un allievo di Haeckel scoprì – o credette di scoprire – la prova della reale esistenza del “Pitecanthropus erectus”, rinvenendo in Australia una calotta cranica, un femore e due molari, peraltro distanti una dozzina di metri. Il maestro, in quell’occasione, confermò l’astrattezza della propria teoria scrivendo all’allievo un telegramma così concepito: «Complimenti dall’inventore del pitecantropo al suo scopritore». Teorie con ben poche prove concrete, sia l’evoluzionismo che la psicanalisi, che vanno comunque a braccetto e dalle quali è buona regola tenersi alla larga, come ci aiuta fare il volume di don Ennio Innocenti.