Chi di voi non ha mai sentito qualche storia strana o piccante su William Shakespeare? Forse era italiano (incredibile!), forse era invece ebreo; forse era coltissimo, forse invece era un bifolco; forse era un donnaiolo, forse invece era omosessuale; forse era, in realtà, il conte di Oxford, forse Francis Bacon, forse la regina in persona che scriveva per diletto.

Il gossip letterario e cinematografico sarà anche affascinante, ma gossip rimane. Studi scientifici ci vogliono; e questo lo è. Parliamo di un saggio appena uscito dai tipi di Ares, L’enigma di Shakespeare, dell’anglista Elisabetta Sala, già autrice di due saggi sul Rinascimento inglese (“L’ira del re è morte”, 2008; Elisabetta “La sanguinaria”, 2010). Scorrevole, avvincente, godibilissimo, il libro ci cala nell’Inghilterra del tempo e con sapiente ricostruzione colloca il drammaturgo in rapporto con quanto accadeva attorno a lui. Perché, certo, Shakespeare fu poeta universale, “per tutti i tempi”; ma anche, e squisitamente, uomo del suo tempo.

Abbiamo così, oltre che uno spaccato di vita quotidiana, uno sfondo assai complesso e interessante per i drammi shakespeariani, che, considerati in questa luce, dicono molto più di quanto non appaia in superficie. Tra scontri di fazioni e intrighi di palazzo, il libro tratta l’enigma di Shakespeare come se fosse un puzzle; un puzzle le cui tessere scivolano lentamente al proprio posto lasciando spazio a pochi dubbi riguardo l’identità e le intenzioni dell’autore. Lungi dall’essere il paladino del sistema, il Bardo dell’Avon emerge come un dissidente politico e religioso.

Quanti di noi sanno che il regime elisabettiano fu uno dei più oppressivi e intolleranti della storia? Che si impose con la forza su un popolo che era rimasto fedele alla tradizione e al legame con Roma? E, poiché i nemici religiosi erano anche nemici politici (fedeltà al Papa voleva dire tradimento della Patria), quanti di noi sanno che un sacerdote cattolico sorpreso su suolo inglese, magari mentre celebrava Messa, veniva giustiziato nel modo più infamante e doloroso possibile? È quanto accadde a diversi conoscenti di Shakespeare.

Quali furono i legami del grande drammaturgo con la missione cattolica segreta? Quale l’ambiente in cui fu educato? Quanti dei suoi amici e parenti erano anticonformisti perché cattolici? Quanti di loro pagarono con la vita? Che dire dei cosiddetti “anni perduti”, in cui Shakespeare fece perdere le proprie tracce? E perché lasciò tutto, compresa la famiglia, e si buttò allo sbaraglio a cercar fortuna a Londra? A quale schieramento politico e religioso appartenevano i potenti da lui avvicinati, quelli che compaiono in controluce in diverse delle sue opere? E chi furono per lui gli scrittori più influenti? Perché non si è mai parlato, in Italia, del grande debito che egli ebbe verso i poeti e i prosatori gesuiti, perseguitati dal regime e braccati come animali, nella lotta senza quartiere per l’anima dell’Inghilterra?

Basandosi su studi autorevoli, L’enigma di Shakespeare legge tra le righe e svela un livello allegorico finora trascurato dalla nostra critica ufficiale. Diversi personaggio storici riemergono dall’oblio e prendono vita accanto all’autore, fino a darci un quadro affascinante delle tensioni, del conflitto di fedeltà, degli strazianti dilemmi che erano all’ordine del giorno per i sudditi inglesi del tempo. Così, tra lacrime e sangue, si formò l’Inghilterra moderna.

Giocando con le parole come un abile prestigiatore, Shakespeare riuscì con eleganza a dire senza dire, a evadere la pesante censura governativa, a inviare messaggi dal sottosuolo dissidente, a mandare in scena opere tacitamente sovversive, che rimpiangono un passato irrimediabilmente perduto (e che sia un passato cattolico è reso esplicito, per dirne una, dal fantasma dell’Amleto), che parlano di esilio dei buoni, di invasione straniera come unico rimedio per guarire un Paese mutilato e ferito dai suoi stessi governanti, che trasformano in bersagli satirici alcuni dei personaggi più in vista del tempo: in questo caso, davvero, ogni riferimento a persone e fatti realmente esistiti è puramente voluto. E fu solo la sua abilità nel gioco degli specchi a salvarlo dalle ritorsioni, visto che tutti i suoi colleghi drammaturghi, chi più, chi meno, ebbero guai con la giustizia e qualcuno persino ci rimise la vita.

Fino a che… Si arriva in un fiato al suo abbandono del teatro e di Londra, al culmine della carriera e della fama. Perché? Forse aveva dato troppo fastidio? Forse non si era piegato ai dettami di Stato? Certo, nel Seicento abbiamo almeno due testimoni che lo accusano di “papismo”. A corroborare il sospetto si aggiunge un fatto strano: perché acquistò una casa costosissima a Londra, ma solo dopo essersi ritirato dalle scene, per poi cederla in affitto a un prezzo simbolico? Ed è forse vero che l’epilogo della Tempesta, con il suo linguaggio esplicitamente cattolico, nasconde il testamento spirituale dell’autore? In che senso parla di “indulgenza”?

Secondo alcuni studiosi, Shakespeare fu un cattolico “cauto”, timoroso di emergere esplicitamente, soddisfatto di dare sempre un colpo al cerchio e uno alla botte. Secondo questo studio, certamente egli ebbe momenti di esitazione e non ricercò il martirio; altrettanto certamente, però, continuò a infarcire le sue opere di riferimenti obliqui fino alla fine, anche dopo che fu entrato ufficialmente nella compagnia teatrale del re. Se non è coraggio questo…