Dopo numerosi saggi di criptopolemologia (cioè sulla guerra nascosta: lo sfruttamento dei Templari, le leggende create intorno a Rennes-les-Chateau e alla figura di Maria Maddalena, Adam Weishaupt e gli Illuminati di Baviera, l’uso delle droghe negli anni ’60 e ’70 per favorire il movimento del ’68 e la sua la rivoluzione “psichedelica”, tutti editi da SugarCo), Iannaccone affronta il campo della narrativa e lo fa con un romanzo “ottocentesco”, che per il suo amore per le descrizioni può ricordare lo stile di padre Bresciani, raccontando una storia di cospirazione molto diversa da quella che un normale studioso di tale argomento si potrebbe attendere.

Infarcita di citazioni dotte e di alti rimandi culturali, che il lettore si può divertire a scoprire, la vicenda narrata è quella di un illustre sconosciuto, (il monzese Ambrogio Fumagalli, che passa quasi inconsciamente a fianco dei principali accadimenti della propria epoca, influenzandoli presso a che involontariamente. Molti di essi sono di natura letteraria: spinge Manzoni a scrivere i Promessi sposi, anziché il poema drammatico che aveva in mente; suggerisce a Leopardi materia e titolo dei principali Canti; assiste alla fabbricazione del tossico che ucciderà Napoleone nel suo esilio di Sant’Elena e avvelena incidentalmente l’ancor giovane Bellini; scrive un pamphlet politico estremista che ispirerà il Capitale di Marx, metterà alla luce il padre dell’anarchico Bresci… Tutto ciò non accade casualmente, ma perché Ambrogio è la vittima (o è il prescelto, il che fa lo stesso) di una setta gnostico-massonica che modifica i destini umani: i Supplenti.

Il linguaggio con cui il romanzo è scritto è, dicevamo, molto colto e mimetico dell’epoca in cui la vicenda viene raccolta dalla viva voce del protagonista (gli ultimi due decenni dell’Ottocento); le memorie di Ambrogio riscrivono l’intera storia dell’Ottocento italiano ed europeo alla luce di una teoria complottista che però (e qui sta la grande novità) vede coinvolto anche il governo austriaco (quindi uno dei più tradizionalisti) nei panni di organizzatore della sedizione “allo scopo di controllare i sediziosi”. Un risultato, come ben sappiamo, del tutto fallimentare.

Questa singolare teoria è una delle linee di lettura del lavoro, che – se pure non diverrà la “Bibbia letteraria” del tradizionalismo – contiene una serie di raffinate analisi sui movimenti politici e culturali ottocenteschi, assieme a una serie di comici giudizi sull’arte (allora) contemporanea che saranno completamente smentiti dal passare degli anni (Debussy insopportabile, Baudelaire senza alcuna speranza di fama o autori tuttora sconosciuti per cui si accredita invece grande considerazione dalle future generazione).

Qualche errore, presumibilmente di stampa (Alcinoo anziché Alcina o la coppia Frollo-Phoebus anziché quella Quasimodo-Frollo); l’impostazione del romanzo, che passa un po’ troppo spesso dalla prima alla terza persona, rendendo non facilissima la lettura, e i molti (forse troppi? ma alla fine tutti hanno una propria ragion d’essere) personaggi rischiano di creare un po’ di confusione: d’altro canto ci sono momenti in cui l’inventiva dell’autore è particolarmente felice, come nella descrizione dell’immaginaria città di Capetingia, sorta in Medio Oriente, per raccogliere tutti gli esuli francesi legati alla dinastia borbonica e che vivono come se la feroce ventata della rivoluzione non fosse mai avvenuta.

Una Utopia realizzata, che rischia però di non avere alcuna possibilità di influire (e di migliorare) il mondo che la circonda e dal quale sembra volersi nascondere: i “codini” che la abitano paiono quindi più struzzi con la testa sotto la sabbia che gentiluomini che abbiano scelto uno stile di vita senza compromissioni di tipo “orleanista”. Comunque quello di Iannaccone è un romanzo raffinato, non a caso finalista al Premio Calvino.